Riscrivere la storia attraverso la lente dell'arte: donne e genialità attraverso la lente di Linda Nochlin.
Un report di Clare McAndrew del 2018 su un campione di 85 fiere internazionali dedicate all’arte ha visto le artiste donna raggiungere il 23% del totale degli artisti rappresentati. Dato che sale a un misero 25% se consideriamo le 5 più importanti fiere del settore. Ma forse qualcosa sta cambiando.
Nel report The survey of global collecting 2023 stilato da Art Basel e UBS, i collezionisti alto spendenti o HNWI (High Net Worth Individuals, sopra cioè i 10 milioni di dollari di spesa) hanno avuto negli ultimi tre anni una quota maggiore di artiste femminili nelle loro collezioni e hanno speso di più per artiste femminili rispetto ad artisti maschi. Questo potrebbe indicare che, sebbene realizzata da una minoranza di collezionisti, parte della spesa ai livelli più alti è destinata ad artiste femminili. Ma la rivalità tra i due sessi in ambito artistico ha radici molto profonde.
La prima professionista ad aver analizzato questa problematica è stata la storica dell’arte e scrittrice americana Linda Nochlin, riconosciuta come una delle pioniere nella critica dell’arte femminista. A renderla famosa è stato il suo saggio del 1971 “Perché non ci sono state grandi artiste?” diventato uno dei testi più influenti nell’arte femminista e negli studi di genere. Il fatto che sia un testo fondamentale nella storia dell’arte femminista -anche in Italia- lo testimonia bene l’ultima sua edizione del 2019 edita da Castelvecchi: in totale 8 ristampe, in tre anni.
Questo saggio ha avuto un impatto significativo nel campo accademico e culturale. Pubblicato per la prima volta nel 1971 sulla rivista Art News, il saggio di Nochlin ha posto una domanda provocatoria che ha aperto la strada a un nuovo modo di pensare e analizzare la storia dell’arte, mettendo in discussione le basi stesse su cui si fondava la percezione del genio artistico e il ruolo delle donne in questo contesto.
Attraverso la sua analisi critica e dialettica, la storica dell’arte ha smantellato la domanda iniziale per rivelare i presupposti discriminatori che vi stavano dietro, sostenendo che la mancanza di riconoscimento delle artiste non era dovuta a una loro incapacità intrinseca, ma a restrizioni istituzionali e sociali che hanno impedito alle donne di esprimere pienamente il loro potenziale artistico.

LINDA NOCHLIN / Libro d’arte
C’è da chiedersi se sia ancora adesso così. Il saggio ha evidenziato come le donne siano state sistematicamente escluse dall’educazione artistica formale e dalle opportunità professionali, limitando così la loro capacità di contribuire alla storia dell’arte in modo significativo. Chiarito che la questione della scarsa rappresentanza delle donne nella storia dell’arte non è stato un problema di mancanza di talento o genialità, capiamo quali sono state le strutture sociali e istituzionali che ne hanno impedito il successo. Il primo motivo è legato alla formazione femminile. «L’accesso all’Accademia era precluso alle donne, così come la possibilità di frequentare le lezioni di anatomia e di studiare il nudo, elemento fondamentale per la formazione di qualsiasi pittore. Le poche donne che riuscirono ad ottenere un’educazione artistica formale dovettero spesso farlo in maniera privata, con notevoli limitazioni» scrive Nochlin. Senza contare che le donne artiste spesso dovevano lottare contro il pregiudizio che le considerava dilettanti o poco serie. Nochlin evidenzia anche come le donne siano state limitate dai loro ruoli sociali e familiari. Molte artiste di successo erano legate a uomini già affermati nel campo dell’arte, come padri o mariti artisti, il che suggerisce che le opportunità per le donne di emergere come artiste indipendenti erano limitate. La storica dell’arte parla anche di mancanza di modelli di ruolo. Nochlin sottolinea come questa assenza abbia reso più difficile per le donne immaginarsi come artiste e ha contribuito a perpetuare la dominanza maschile nell’arte. «Le poche donne che avevano raggiunto il successo nell’arte erano spesso considerate eccezioni alla regola, e non come esempi da seguire.»
Nochlin mette anche in discussione il concetto stesso di grandezza artistica, sostenendo che è stato costruito in modo da escludere le donne. Le definizioni di genialità e successo artistico sono state modellate da una prospettiva maschile che ignora o sminuisce i contributi delle donne. I criteri utilizzati per giudicare l’arte sono spesso basati su valori maschili, come la forza, l’originalità e l’ambizione. Così, alle donne artiste rimangono i generi considerati femminili, come la natura morta e il ritratto, che erano generalmente meno apprezzati rispetto alla pittura storica e di paesaggio. Nel saggio, Nochlin discute di artiste come Rosa Bonheur, che nonostante il successo, hanno dovuto navigare in un contesto sociale e professionale ostile alle donne. Tuttavia, la sua scelta di specializzarsi in un genere considerato femminile le impedì di essere riconosciuta come una vera e propria grande artista. Il lavoro di Nochlin ha avuto ripercussioni concrete nel mondo dell’arte, ispirando mostre e ricerche volte a riscoprire e valorizzare il contributo delle artiste nella storia. Ad esempio, pochi anni dopo la pubblicazione del saggio, nel 1976, Nochlin curò insieme ad Ann Sutherland Harris la mostra itinerante Women Artists 1550-1950, che per la prima volta espose opere di artiste europee e americane, molte delle quali erano state dimenticate o trascurate. Il contributo di Nochlin alla storia dell’arte è stato paragonato a quello di Virginia Woolf per gli studi letterari con Una stanza tutta per sé, in quanto entrambe le opere hanno contribuito a cambiare radicalmente la percezione e l’approccio agli studi di genere nei rispettivi campi.