BLOG

Piero Chiambretti – Tra studio e culo, l’importante è non sedersi mai

Cosa serve per lasciare il segno? Piero Chiambretti, mattatore su Rai 3, risponde con la sua formula: studio, istinto, un po’ di fortuna e una buona dose di provocazione.

PIERO CHIAMBRETTI  / Fotografia di Francesco Colavito e postproduzione di Mattia Frattini, presso NH Hotel Torino | team del magazine The Artboook insieme a Piero Chiambretti e Willy Ghia

Piero Chiambretti e Willy Ghia varcano l’ingresso del bar dell’hotel togliendosi i pesanti capispalla che l’inverno torinese pretende e si avvicinano al bancone in attesa di qualcuno che li ascolti. Lui indossa una giacca di velluto millerighe color miele su pantalone scuro, camicia di una leggera nuance di azzurro e cravatta regimental rossa a righe blu e panna. La sua responsabile delle pubbliche relazioni veste con pantaloni neri, in linea con un gilet oversize, camicia bianca e una fantastica collana etnica argentata. Chiedono di mangiare qualcosa di veloce. Non ci vedono subito. Poi Chiambretti si gira verso i nostri due tavoli e ci chiede: «Ma siete voi? Possiamo unirci?» ed è subito uno di noi con quel suo fare autentico e di spirito che lo identifica ai più davanti alle telecamere.

Inizia così il servizio programmato per le 14 in punto, ma con trucco e parrucco già fatto perché alle ore 15, Piero deve scappare. Noi siamo arrivati per la mezza considerando che, oltre a mangiare, avremmo dovuto effettuare anche il sopralluogo dell’hotel: giusto per assicurarci di portare a casa gli scatti. Mi sento sicuro perché oltre al nostro staff ormai rodato e interdipendente, sono certo della professionalità di Piero: del resto, più di 40 anni di carriera non si improvvisano certo; sebbene visto da vicino, tutti questi anni, non lo abbiano scalfito molto. Forse il merito va alle maschere di bellezza che (sembra essere una sua consuetudine) chiede gli vengano applicate una ventina di minuti prima del trucco. Oggi non fa eccezione, tanto è vero che Marilena, la nostra truccatrice di fiducia, si è attrezzata con tutto: ma solo dopo aver consultato la stessa Willy. Tutto sembra filare liscio come l’olio all’NH Collection Hotel di Piazza Carlina, come amano chiamarla i torinesi; in realtà il nome della piazza è Carlo Emanuele II. Prima che diventasse un hotel, proprio tra queste mura ottocentesche –scelte da Piero Chiambretti per entrare nella copertina del numero XIX di The ArtBook– ha dimorato per diversi anni Antonio Gramsci. Sì, proprio quello che ha teorizzato il concetto di Egemonia culturale, fondato il Partito Comunista Italiano e scritto, dalle segrete fasciste, i Quaderni del carcere, influenzando la politica e il pensiero critico del Novecento. 

Ecco, già i torinesi mi incutono un certo timore reverenziale per il loro agire senza mai troppo dire, in più, questi importanti natali aiutano non poco il mio eterno sentirmi in ritardo e mai completamente soddisfatto. Ma mi rincuora molto un pensiero di Piero poco prima che inizi l’intervista. Il tema è proprio il Divine Discontent che già il pubblicitario americano Devid Ogilvy raccontava a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. «Io non riesco a fare una trasmissione uguale a un’altra; quindi, praticamente faccio programmi diversi ogni volta che vado in onda. Cambio completamente tutto. Che poi non ti appaga […], va sempre meglio l’altro, che però è già dimenticato e che io non farò mai più.» In realtà un filo rosso nei suoi programmi c’è, ed è quello dell’infotainment, parola abusata nel mondo dell’automobile per indicare quel display centrale che ogni macchina moderna ha e in cui sono racchiuse la musica e l’informazione. E Chiambretti è proprio questo: il piacere dell’intrattenimento e la serietà dell’informazione. «Quando si è dei professionisti bisogna mettere dentro alle cose che si dicono delle informazioni, delle citazioni, delle battute, delle riflessioni intime. Mostrando anche, spesso mi capita, non di dimostrare la debolezza dell’altro, ma la debolezza mia che fa forte l’altro.» Il tutto condito da una buona coerenza che in Piero ha un sapore speciale. «La coerenza è proprio quella di non perdere mai di vista il contesto e il personaggio che hai di fronte. O meglio, non puoi fare le domande che faresti a un calciatore se poi di fronte hai un filosofo. Ma la cosa migliore sarebbe fare le domande del filosofo al calciatore e le domande del calciatore al filosofo. Ecco il gioco dei contrasti, che poi è il gioco delle parole, dei pensieri e anche di uno studio psicologico che io affronto ogni qualvolta devo incontrare qualcuno.» E in questo suo giocare, Chiambretti è comunque sempre alla ricerca di una verità sebbene sia ormai certo che «la televisione spesso e volentieri racconta delle verità molto poca verità». Se è vero che Dio ti punisce esaudendo i tuoi desideri, non volendo fare figuracce con un personaggio così importante della TV (metti che abbia bisogno di una figura eclettica come la mia in uno dei suoi programmi), sono giorni che lo studio leggendo articoli e guardando video.

PIERO CHIAMBRETTI / Fotografia di Francesco Colavito e postproduzione di Mattia Frattini, presso NH Hotel Torino| Piero Chiambretti con Willy Ghia 

PIERO CHIAMBRETTI / Fotografia di Francesco Colavito e postproduzione di Mattia Frattini, presso NH Hotel Torino | Piero Chiambretti

 Andate a guardarvi la sua incursione all’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, detto il Picconatore. È la puntata del Portalettere trasmessa dalla Rai il 29 febbraio 1992: dovrebbe diventare materia di studio per chi decide di fare comunicazione. La trovate su RaiPlay. Non a caso, per questo numero di The ArtBook dedicato alla comunicazione nel mondo dell’arte abbiamo scelto proprio Piero Chiambretti. Quell’intervista è la sintesi della suo essere un professionista della TV. «Io credo che nelle interviste sia molto più importante la domanda della risposta. Però è chiaro che se la risposta ti dà soddisfazione anche la domanda sembra più interessante, o meglio intelligente. Per arrivare a questo ci vogliono due elementi indispensabili, da una parte il culo, la fortuna di incontrare persone interessanti e dall’altra, studiare: che non è una di quelle cose che oggi si fa così spesso specialmente nel nostro mondo della televisione.»

In quei 35 minuti e una manciata di secondi trascorsi sul divano di una delle molte sale dell’hotel, Piero dice cose che ai giovani artisti e a quelli emergenti dovrebbero suonare come moniti. «La migliore difesa è l’attacco, quindi essere dei provocatori –almeno questo, nella prima fase della mia carriera– è stato decisivo per superare la paura e la timidezza. Successivamente è diventato uno stile che, tra l’altro, purtroppo non mi tolgo più di dosso neanche quando provocatore non lo sono più stato. Le etichette ti uccidono.» Ecco perché il suo far televisione, radio, cabaret o pubblicità, rientra in un tutt’uno fatto con arte, «però senza sapere che lo fossero, perché a me piace la teoria, avere una grammatica da poter sgrammaticare: il risultato è avere non un segno, ma più espressioni di racconto». Un lavoro, quello di Piero, incentrato molto su se stesso. «L’artista è un solitario. La solitudine dei numeri uno, ma anche due, è proprio quella che pur essendo conosciuti da tanti, vivono poi da soli. Ma non può essere diverso perché è soltanto stando con te stesso che puoi combattere, costruire, creare, reinventarti ogni volta.» Un costruire mattone dopo mattone alimentato da una creatività che ruba continuamente a tutto, a tutti. «Anche a questo albergo: magari qui c’è un elemento, non so questa scalinata, un cameriere, una pianta carnivora che un giorno mi tornerà utile dentro a un progetto.» L’importante che tutto sia al passo con i tempi perché, come diceva Darwin, «resisteranno solo quelli che si adattano al cambiamento». 

Un cambiamento che in Piero si nota anche nei personaggi di cui si circonda. Tutta una serie di nuovi volti e di volti noti reinventati come MalgioglioSignoriniCostantino della Gherardesca e più recentemente Drusilla Foer, alias Gianluca Gori. Ma attenzione, perché pur avendo invitato nei suoi programmi personaggi dichiaratamente gay già agli albori degli anni 2000 o comunque prima che il termine LGBT diventasse pop, Chiambretti ritiene di non essersi mai mosso né come talent scout né tanto meno da provocatore. «Faccio quello che mi piacerebbe che altri avessero fatto a loro tempo con me. Vedi una persona di talento –una qualunque forma di talento– e gli dai uno spazio che diversamente non avrebbe. Quindi non sono né talentuoso né, come dire, un francescano: semplicemente sono uno che fa la televisione e cerca di riconoscere il talento altrui mettendolo a disposizione dei programmi che faccio […], credo fortemente nelle persone su cui ho puntato.»

Ma lo studio, l’intuito, la fortuna a volte non bastano e qualche volta anche Piero è inciampato. Un inciampo a cui il conduttore televisivo risponde con un disinvolto «domani è un altro giorno, si vedrà, si riparte». Ma si riprende subito sostenendo che «sono stati egualmente per me tutti dei successi, perché sono tutti lavori fatti con grande passione, studio e attenzione alle dinamiche del momento». Provare persone, linguaggi, orari, reti e collocazioni diverse è un rischio che va corso. Dalle sconfitte ho sempre imparato di più che dai successi. Una pratica che Piero sta mettendo anche nel suo ultimo progetto da realizzare: Fin che la barca va. In onda su Rai 3 partire da marzo, l’ultima spunta delle To-Do List di Chiambretti è a metà tra un programma esistenziale e un tour romano sul Tevere. Piero sarà su una barca che si muove tra i ponti contro i telegiornali. «Credo che una volta portato a termine sarò doppiamente soddisfatto perché era da qualche anno che volevo realizzarlo, poi si vedrà,» spiega Chiambretti.

Un «poi si vedrà» che rivela la voglia in Piero Chiambretti di continuare a creare per il suo pubblico. «Io credo di avere un pubblico. Magari non è quello oceanico di Sanremo, che peraltro ho avuto anche, ma è un pubblico affezionato che è cresciuto insieme a me, invecchiato insieme a me. Spero che non muoia prima di me. Perché se muore il pubblico muoio anch’io.» E poi, c’è sempre il Chiambretti imprenditore con il suo ristorante Birilli dal 1929 dal fantasioso storytelling o ancora un progetto legato all’arte. «Una volta avevo tentato con il mio amico Moretti, grande collezionista ed esperto d’arte, di costruire il più grande nano gigante che sia mai stato costruito per poi venderlo a un’asta con un nome ovviamente d’arte del sottoscritto, inventando anche una biografia che non esisteva.»

Ma prima di lasciarci, ecco come di consueto il pensiero del nostro ospite dedicato a tutti gli artisti emergenti. «Il primo ad andare subito a Lourdes, che è molto importante pregare. Pregare perché il mondo sembra che non abbia più bisogno degli artisti, che invece sono l’unica cosa di cui ci sarebbe veramente necessità. Il secondo è di insistere, ma non dicendo che i sogni alla fine si avverano perché molte persone che conosco avevano sogni meravigliosi e sono finiti al ministero delle Poste. Però se uno ha una passione, ha già salvato metà della propria esistenza.» Se il tempo vola quando ci si diverte, forse abbiamo fatto centro: le 15 sono passate da un pezzo, ma Piero è ancora con noi, a chiacchierare sul divano. Un ringraziamento speciale anche alla direttrice dell’hotel, che ha atteso con eleganza la fine dell’intervista.

Guarda la sua intervista.

Articolo di Matteo Dall’Ava

GRAZIE !

Verrai contattato al più presto!

Puoi aiutarci ad aiutarli?

Compila il modulo & organizziamo un appuntamento!