Uno, forse il più potente, degli aspetti dell’arte è la sua vocazione universalistica e socialista sia dal punto di vista della creazione che della fruizione.
Nell’epoca della riproducibilità e della dematerializzazione delle immagini l’arte, sia essa tradizionale o concettuale, è alla portata di tutti letteralmente nelle nostre tasche, alla distanza di un clic. L’arte terapia viene definita quale tecnica psicologica, con finalità terapeutiche, finalizzata alla cura dei disagi psicologici mettendo in campo svariati medium artistici, dal teatro alla danza alla musica. Le sedute, singole o di gruppo, portano il paziente all’espressione della propria interiorità, alla scoperta dei proprio aspetto ombra, in una parola conducono il soggetto ad un livello di consapevolezza nuovo e completo. Gli strumenti dell’arte terapia sono principalmente cinque seppur una divisione eccessivamente rigida degli ambiti e delle tendenze mal si sposa con la vocazione universale delle discipline in oggetto: arti visive, danza, recitazione, scrittura e musica si spogliano della propria, fallace, componente d’intrattenimento per dare voce alla loro natura fatta di profondità e riflessione. “Ci vuole tatto, parola interessante perché si riferisce sia alla percezione degli stimoli cutanei, sia alla delicatezza, alla discrezione e all’opportunità di un gesto”. Con queste parole Vittorio Lingiardi, professore di psicologia dinamica a Roma, tenta di spiegare come il rapporto, fisico, cutaneo e viscerale con le arti porti a risvolti di natura psicologica ancor prima che intervenga di qualsivoglia mediatore, come evento biologico e naturale. L’elemento fisico, esperito tramite il tatto fu alla base delle sperimentazioni dell’artista Jiri Kolar che alla metà del Novecento propose il collage in dimensione tattile attraverso i Collages tattili narrativi. L’artista e poeta era fermamente convinto delle potenzialità del “leggere con la punta delle dita” qualora il senso della vista venisse compromesso, parlando di un miracolo divenuto realtà. Da queste e altre elucubrazioni nacquero, il 30 gennaio 1962, I Poemi per ciechi forieri di ulteriori sperimentazioni nell’area degli altri quattro sensi.

JIRI KOLAR / “Birds for Hans Sachs”, intercollage, carta attaccata al cartoncino, 21.5 x 31 cm, 1969-1972
SHIVAISMO KASHMIRO |
Le arti terapie hanno fatto tesoro di esperienze come queste utilizzandole e affinandole nell’ottica della riabilitazione e dell’inclusione, avendo come punto di partenza saldo e incrollabile la condivisione, l’azzeramento delle distanze e l’equità. Procedendo con un focus sulla musicoterapia ho il piacere d’incontrare Emanuele Miletti, musico terapeuta di orientamento Junghianio che da anni unisce la propria passione e formazione musicale ad un’incessante ricerca antropologica resa possibile da numerosi viaggi, ultimo dei quali nel cuore della foresta amazzonica. Ciò che appare chiaro, nella nostra conversazione, sono le origini antichissime di quella che noi oggi conosciamo come forma terapeutica connessa alla musica, partendo dalla Shivaismo Kashmiro che pone il fruitore di ogni forma d’arte quale reale creatore della stessa, identificato con il termine Sahridaya, colui che ascoltando la musica ne distilla le emozioni suscitate in un’essenza universale, priva di particolarismi: Rasa. Emanuele Miletti pone l’accento su come il musicoterapeuta sia innanzitutto un ascoltatore e solo successivamente un mediatore capace di mettere da parte il proprio, umano, impulso creativo per porsi in ascolto di quello del facilitato.
Tra terapeuta e paziente si costituisce un campo di risonanza libero, per entrambi e si fa teatro dell’azione anche grazie alla capacità di chi conduce di capire e divulgare la consapevolezza dell’assenza di separazione tra le parti. Il facilitatore, in prima persona, si fa strumento della terapia grazie alla possibilità di ricevere e trasformare l’energia in arrivo e proiettarla nuovamente con il valore aggiunto della sua universalità. Neuroni specchio e dinamiche di rispecchiamento sono il corroborante di tali dinamiche da un punto di vist fisico, gestuale ma sopratutto profondo e animico rendendo l’esperienza capace di trascendere bias cognitivi e sensoriali. In un gioco di rimandi e richiami finalizzati alla consapevolezza, non lontani dal concetto di catarsi tipica del mondo drammaturgico greco, Miletti ritiene fondamentale il setting circolare dove lui e le persone coinvolte nella seduta, molto spesso di gruppo, sono posizionate in modo tale da rispecchiare il campo di continuità nel più totale egualitarismo.

ARTE TERAPIA /
La vocalità, precursore di qualsisi strumento musicale, nelle sue declinazioni non necessariamente verbali e cantate è fortemente influenzata dall’energia del gruppo e dal momento specifico e trova nel canto diplofonico la massima espressione delle componenti universali del suono anche e sopratutto attraverso lo strumento del canto corale libero. L’eventualità che il collettivo contenga uno o più soggetti audiolesi non è da escludersi e permette campi di ricerca e sperimentazione estremamente interessanti facendo del gruppo lo strumento di mediazione sonora grazie alla connesione tattile. Attraverso un approccio omnipervasivo il mediatore si addentra nel capo delle percezioni sinestetiche trasmutando il suono in esperienza tattile e, come tale, fruibile da la quasi totalità dei facilitati. Riflettendo sulle possibilità e potenzialità della sua disciplina Emanuele indica il campo della mediazione interculturale quale bacino di grande interesse e particolarmente fertile specie in luoghi quale il Brasile e il Sud America in generale dove l’interconnessione e l’adattamento sono principi antichissimi ed endemici. Il mio interlocutore mi saluta lasciandomi con una riflessione profonda e interessante: la musica, come ogni forma d’arte, nasce e si sviluppa quale espressione degli aspetti più intimi della psiche umana e, solo in epoca moderna, a causa di dinamiche commerciali è stata relegata al ruolo di mero intrattenimento. In definitiva la musica, ascoltata e non posta in un ibrido secondo piano delle nostre esistenze, si configura, nella sua stessa essenza come esperienza terapeutica e trova, ad oggi, nella produzione dell’attivista africana Chiwonosio una testimonianza capitale. Emanuele Miletti, musicista oltre che terapeuta, si pone in prima linea nella difesa della dignità della musica anche grazie alla propria, lodevole, produzione della quale ricordiamo il recente album Space Yantra e le numerose collaborazioni con gli indigei Varinawa della foresta Amazzonica. Arte, terapia, consapevolezza. Parole che nascondono, come in una formula magica, innumerevoli spunti e vie di conoscenza disponibili per chiunque si ponga, è il caso di dirlo, in ascolto.
Articolo di Valentina Paolino