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DECRETO CULTURA? NON PERVENUTO

Nel 2023 i luoghi del patrimonio artistico italiano hanno registrato quasi 108 milioni di ingressi.

GALLERIA DEGLI UFFIZZI / Corridoi

Nel 2023 i luoghi del patrimonio artistico italiano hanno registrato quasi 108 milioni di ingressi. Solamente i Musei hanno accolto oltre 57 milioni di visitatori con un incasso diretto di 313,9 milioni di euro. La filiera del mercato dell’arte in Italia vale circa 4 miliardi di euro e coinvolge circa 50.000 lavoratori.

Già nel 2014 Marion Maneker pubblica un articolo su Art Market Monitor dal titolo “How to kill an art market. The Italian example”. Se si intervenisse sulla burocrazia e ci fossero interventi strutturali, viene stimato che il settore arte in Italia potrebbe arrivare a oltre di 10 miliardi di dollari l’anno, con un indotto che di 50/60 miliardi annui. Stime a parte, è innegabile che il patrimonio artistico è un asset primario che andrebbe sviluppato e incentivato.

E invece? Il recente Decreto Cultura (ma anche quelli precedenti per la verità) dimostra come la cultura nel nostro Paese non sia una priorità. Un provvedimento che è una scatola vuota che sostanzialmente non prevede risorse aggiuntive e che fa ricorso alla consuetudine, ormai diventata prassi, di adottare uno strumento legislativo che dovrebbe essere adottato solamente in “casi straordinari di necessità e urgenza”. La nostra Costituzione prevede infatti il principio della  separazione dei poteri: la funzione legislativa è riservata al Parlamento, mentre al Governo spetta l’esecuzione e l’attuazione delle leggi. Il Parlamento, su specifici argomenti, può delegare il Governo a legiferare definendone i principi e i criteri direttivi (decreto legislativo), oppure, in casi straordinari di necessità e urgenza, il Governo può emanare atti normativi di carattere provvisorio che devono essere convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni (decreto legge). Come nota il Senatore Lombardo nella discussione in Aula, “questa volta che i requisiti della necessità e urgenza, per intervenire in maniera culturale nel nostro Paese, io li vedo tutti. Non vi è, infatti, settore in Italia che abbia bisogno di cura, di attenzione, di provvedimenti e di investimenti come la cultura nel nostro Paese.” Eppure queste straordinarie necessità rimangono solo delle intenzioni, per lo più vaghe e soprattutto non strutturali.

Un provvedimento, il Decreto Cultura, che avrebbe dovuto prevedere interventi concreti e non sostegni precari, investimenti e non un semplice utilizzo di riserve. Una legge che avrebbe dovuto avere la capacità di costruire una visione per il settore culturale italiano, una delle risorse fondamentali del nostro Paese, bene comune e fondamento di un popolo. Nessun intervento concreto, salvo qualche vaga enunciazione di principi generali e qualche sparuta elargizione che sembra casuale.

Ha fatto tanto rumore (per nulla) la mancata riduzione dell’iva sulla cessione di opere d’arte, ancora soggetta all’aliquota ordinaria del 22%. È una mancanza che penalizza fortemente il settore italiano, che ignorando di fatto la Direttiva 2022/542/UE, mette in crisi tutti gli operatori. A titolo esemplificativo la Francia ha abbassato l’imposta sul valore aggiunto al 5,5% la Germania al 7%… Sono ormai vent’anni che vengono avanzate richieste in tal senso, ma a quanto pare il settore non è ritenuto strategico. Ma in questo modo, con le recenti modifiche a livello europeo, le aziende e i lavoratori si trovano ad essere in posizione svantaggiata rispetto a quelle straniere. Un mercato dunque che risulta poco attrattivo per gli stranieri (si aggiunga la burocrazia in ogni fase di import/export) e penalizza l’industria artistica italiana.

Aldilà di questa mancanza, quello che più colpisce è la scarsità di un reale contenuto del Decreto Cultura. Dodici scarni articoli che sono il riassunto di una politica culturale tendente allo zero. Un Decreto Cultura dovrebbe andare a integrare e a potenziare la normale attività del settore. Ma proprio leggendole in questo contesto appaiono poco incisive. Si pensi alla mancanza di personale delle Sopraintendenze, alla scarsità di fondi dei Musei, alla totale assenza di risorse per l’acquisto di opere d’arte (salvo il Patto per l’Arte Contemporanea e l’Italian Council, che meriterebbero una trattazione riservata), alle difficoltà di importazione ed esportazione, alla già citata Iva.

OUDE ARLÈSIENNE | Vincent van Gogh, olio su tela, 1888

ERCOLE E L’IDRA | Antonio del Pollaiolo, tempera grassa su tavola, 17 X 12 cm, 1475 circa, metafora delle ‘fatiche’ contro la burocrazia italiana.

Il primo articolo affida al Ministro della Cultura il compito di adottare, con proprio decreto, un nuovo Piano, denominato “Piano Olivetti per la cultura”, ispirato alla figura di Adriano Olivetti, e dedicato a favorire lo sviluppo della cultura, a promuovere la rigenerazione culturale delle periferie, delle aree interne e delle aree svantaggiate, nonché a valorizzare le biblioteche, la filiera dell’editoria libraria, gli archivi e gli istituti storici e culturali. Il Piano è adottato, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, e per le attività di supporto viene istituita una posizione di livello dirigenziale con una dotazione di 250 mila euro circa. Una enunciazione che appare vuota e di puro principio, senza risorse aggiuntive, che lascia una flebile speranza di capire e verificare quanto verrà previsto concretamente dal Ministro Giuli nel decreto che dovrà emettere entro 90 giorni (ma non vi era l’urgenza?).

Di pari tenore è il secondo articolo, che dispone che il Ministero della Cultura istituisca una unità di missione (composta da

otto persone, con un onere di poco più di 850 mila euro/anno) per la cooperazione culturale con l’Africa e il Mediterraneo allargato, al fine di promuovere ulteriori iniziative culturali nelle materie di propria competenza, fissandone le funzioni, la durata, la composizione, nonché la copertura dei relativi oneri, prevedendo anche in questo caso una posizione dirigenziale avente funzioni di supporto alle attività con un ulteriore costo di circa 250 mila euro. Di fatto viene strutturato un altro ente per promuovere il dialogo tra enti, che “costa” più di un milione di euro all’anno fino al 2028.

L’articolo 3 prevede tre misure concrete a sostegno del mondo dell’editoria, anche se, ancora una volta, sembrano essere misure precarie e non interventi strutturali. Viene stanziato un fondo di 4 milioni di euro per finanziare l’apertura di nuove librerie da parte di giovani fino a trentacinque anni di età; viene istituita una dotazione di circa 25 milioni di euro per l’acquisto di libri, anche in formato digitale, da parte delle biblioteche statali; vengono attribuiti 10 milioni per ampliare l’offerta culturale dei quotidiani in formato cartaceo attraverso il potenziamento delle pagine dedicate alla cultura, allo spettacolo e al settore audiovisivo.

Il quarto articolo autorizza una spesa di 800 mila euro per celebrare il venticinquesimo anniversario della Convenzione Europea sul Paesaggio
, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000, mentre il quinto destina alla Giunta storica nazionale, all’Istituto italiano per la storica antica, all’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea e all’Istituto italiano di numismatica un contributo, a decorrere dal 2025, pari complessivamente a 1,8 milioni di euro. Seguono due articoli “tecnici”, uno sui termini di scadenza per i rimborsi della “Carta della Cultura”, della Carta del Merito” e del “Bonus Cultura 18app”, l’altro sulla semplificazione di alcuni aspetti del sistema audiovisivo e del cinema. 

Di pari tenore sono l’articolo otto (la Scuola dei beni e delle attività culturali assume la nuova denominazione di ”Scuola nazionale del patrimonio e delle attività culturali”) e il nove (in materia di impignorabilità dei fondi destinati alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale”).

Gli ultimi tre articoli sono ancora fondamentalmente riferiti ad aspetti tecnici di riorganizzazione del Ministero previsti dal DCPM 57/2024 e prevedono un contributo una tantum di 500 mila euro al Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e un apporto di 300 mila euro all’anno in favore della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano.

Di fatto dunque un Decreto alquanto vuoto, o forse programmatico, ma senza quegli interventi concreti o strutturali che era lecito aspettarsi. In un paese, come il nostro, che della cultura dovrebbe farsene un vanto. Ma la cultura non paga. O forse si.

Articolo di Federico Rui

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