La rivoluzione gentile di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo
Torino, Roero e il mondo: Patrizia Sandretto racconta la sua missione di rendere l’arte contemporanea accessibile e inclusiva, ispirando nuove generazioni. In un mondo in continua evoluzione, la cultura e l’arte rappresentano pilastri fondamentali per la crescita e lo sviluppo della società. Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, fondatrice della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, si è affermata come una delle figure più influenti nel panorama dell’arte contemporanea in Italia e oltre. Con una visione innovativa e una passione ineguagliabile, ha dedicato la sua vita a promuovere artisti emergenti e a creare un dialogo tra diverse forme di espressione artistica.
L’istituzione, situata nel cuore di Torino, non è solo uno spazio espositivo, ma un vero e proprio laboratorio di idee, dove l’arte si intreccia con la cultura, l’educazione e l’impegno sociale. Durante questa intervista, Patrizia condividerà con noi il suo percorso personale e professionale, le sfide affrontate nella gestione della fondazione e la sua visione per un futuro in cui l’arte possa continuare a ispirare e unire le persone. Scopriremo così non solo il suo impegno per l’arte contemporanea, ma anche il suo desiderio di contribuire a una società più inclusiva e consapevole. Un’opportunità unica per esplorare il pensiero di una delle più appassionate sostenitrici dell’arte del nostro tempo.
C’È UNA PATRIZIA PRIMA DELL’ARTE E QUALI ERANO LE SUE PASSIONI?
Collezionare è parte della mia identità e della mia storia: mia madre collezionava porcellane di Meissen e di Sèvres e, forse per imitarla, da ragazzina raccoglievo scatoline portapillole. Registravo su un quaderno l’ingresso di ogni nuovo pezzo, scoperto nei mercatini. Ero decisamente sistematica. Poi, negli anni Ottanta, mi sono appassionata all’American Costume Jewelry e ho iniziato a collezionare gioielli non preziosi realizzati a partire dagli anni ’30 del secolo scorso. Amo molto i miei gioielli fantasia, indosso ogni giorno un pezzo diverso che si abbina con il mio umore e la mia agenda. Dopo la laurea in Economia e Commercio, ho lavorato nell’azienda di famiglia. L’arte contemporanea è entrata nella mia vita grazie a una cara amica. È con lei che ho fatto il mio primo viaggio d’arte, a Londra nel 1992, anno in cui ho iniziato a collezionare. L’origine della mia collezione è strettamente legata agli studio-visit compiuti in quell’occasione.
Questo ricordo ha per me il valore di un vero e proprio imprinting, determinante per il modo con cui, da allora, scelgo e colleziono opere. Ancora oggi, la mia collezione è fondata sul dialogo con l’artista e sulla conoscenza approfondita della sua ricerca. L’arte contemporanea è una chiave per leggere il mondo e comprendere il tempo in cui viviamo.

STEFANIE HEINZE/ Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, foto di Alessandro Peirone.
FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO
CON LE INNUMEREVOLI OPERE D’ARTE CONTEMPORANEA CHE HA PORTATO NEL ROERO, LEI È RIUSCITA A DESTAGIONALIZZARE UN TERRITORIO CHE VIVEVA SOLO DI TURISMO ENOGASTRONOMICO. COME NASCE QUESTA VISIONE?
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo è stata costituita nel 1995 e ha aperto la sua prima sede nel 1997 a Guarene. Sento un legame molto profondo con il Roero, con il suo paesaggio, i luoghi, le persone, la sua storia. Dal 1997, Palazzo Re Rebaudengo, dimora settecentesca della mia famiglia, è diventato un crocevia, un luogo d’incontro di artisti, curatori e collezionisti di tutto il mondo, uno spazio per mostre, pensato per accogliere le comunità locali e i visitatori italiani e stranieri. Tra le missioni della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo emerge da anni la volontà di portare l’arte contemporanea fuori dai luoghi deputati, per aprire una relazione forte con lo spazio pubblico, la cittadinanza e le sue comunità, sia nel contesto urbano che in quello del paesaggio rurale e naturale. Il Parco d’Arte Sandretto Re Rebaudengo sulla Collina di San Licerio è nato nel 2019 con l’obiettivo di creare un dialogo tra arte, territorio e natura. Il Parco è aperto gratuitamente al pubblico e contribuisce ad arricchire l’itinerario dell’arte contemporanea nelle Langhe, Roero e Monferrato, meraviglioso territorio Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Il Parco ospita in permanenza opere della Collezione Sandretto Re Rebaudengo accanto a nuove produzioni site-specific che abitano fra i castagni, le querce, i cipressi, le file ordinate dei giovani salici nani e accanto ai filari di una vigna di Nebbiolo, da poco messa a dimora e dalla quale produciamo un vino rosato. Ogni anno le etichette delle bottiglie verranno ideate e realizzate da artisti e artiste. L’arte, insieme alla bellezza del paesaggio e alla straordinaria cultura enogastronomica di questa provincia, può essere un ulteriore attrattore di turismo di qualità e un valido sostegno all’internazionalizzazione del territorio. Da sempre, e ora più che mai, interpreto la presenza della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo nel Roero, come un’occasione per promuovere legami solidi con la comunità, le scuole e le imprese del territorio, con la speranza di favorire ricadute positive sia sul piano culturale che economico.
HA DELLE OPERE CHE POSSIAMO DEFINIRE PREFERITE?
Ogni opera rappresenta un momento speciale di incontro: la conoscenza diretta dell’artista fa parte del mio modo di collezionare. Ciò che mi interessa è prendere parte a un percorso, a un ragionamento, a un progetto, non limitarmi unicamente a una scelta. Tra le opere che mi sono care posso citare Love is Great (1994) di Damien Hirst, Viral Research (1986) di Charles Ray, Untitled Film Stills (1978-1980) di Cindy Sherman e, ovviamente, la mascotte della Collezione, lo scoiattolino suicida di Maurizio Cattelan, Bidibidobidiboo (1996).
QUALI SONO LE LINEE GUIDA DEL SUO ESSERE COLLEZIONISTA?
La mia collezione è fondata sul dialogo con l’artista. Nei primi anni, l’ho strutturata su una serie di filoni: l’arte italiana, la fotografia, l’arte delle donne, la scena britannica e quella californiana. Nel tempo, la griglia si è attenuata a favore di un ventaglio più ampio di interessi, determinato dal corso dell’arte stessa, dall’ampliamento della platea artistica, sempre più aperta e globale, dall’emergere di temi cruciali quali l’ambiente, i diritti, i rapporti tra culture, l’inclusione. L’arte ci allena alla curiosità, alla complessità, alle domande e agli slanci.
MOLTI IMPEGNI INTERNAZIONALI, MOSTRE, PROGETTI ARTISTICI. HA UN LUOGO IN CUI RIESCE A RITAGLIARSI DEL TEMPO?
Il luogo in cui mi dedico al mio tempo personale è Madrid, città dove nel 2017 ho fondato la Fundación Sandretto Re Rebaudengo Madrid.
E appena posso mi dedico alle mie nipotine, che hanno quattro anni e riescono a farmi dimenticare ogni impegno. Passare il tempo con loro è un vero privilegio, una gioia pura che mi ricorda l’importanza delle cose semplici. In fondo, sono proprio loro che mi danno energia e che, con la loro curiosità, mi ricordano quanto sia bello continuare a guardare il mondo con occhi nuovi.

MARK MANDERS / Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, foto di Alessandro Peirone.
RINASCIMENTO / Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, foto di Alessandro Peirone.
POTREBBE CONDIVIDERE UN’ESPOSIZIONE CURATA DALLA SUA FONDAZIONE CHE RITIENE SIA STATA PARTICOLARMENTE SIGNIFICATIVA O TRASFORMATIVA?
Non riesco a sceglierne una sola perché per me sono state tutte importanti. Posso citare Greenwashing. Environment: Perils, Promises and Perplexities con la quale già nel 2008 abbiamo cominciato a riflettere sull’ecologia, invitando a esporre 25 artisti che nei loro lavori affrontavano già allora – 16 anni fa – concetti che oggi ci sono familiari: impronta ecologica, impatto zero, annullamento delle emissioni di anidride carbonica, foodmiles, marketing ambientale, debito ambientale.
Anche la personale nel 2015 di Ian Cheng, Emissary in the
Squat for Gods, primo capitolo di una trilogia video poi esposta al MoMA di New York. Immergersi nella visione del video di Cheng, governato e auto-generato da software di modellazione algoritmica, è stato come affacciarsi sulla scena, per me ancora misteriosa, dell’intelligenza artificiale, facendone esperienza diretta.
Tra le molte mostre che lego all’idea di cambiamento, voglio citare infine Renaissance di Adrian Villar Rojas, tra fine 2015 e inizio 2016. La sua installazione ambientale, composta da decine e decine di grandi pietre erose dal tempo, sormontate da materiali organici e oggetti, ci ha lasciato letteralmente senza fiato. Camminare in mezzo a quelle pietre, installate nello spazio della Fondazione riportata dall’artista a un ambiente nudo (senza luci, scritte, didascalie, senza riscaldamento, bookshop e reception), ci ha immerso in una incredibile esperienza del tempo, in cui il passato remoto, geologico, si è intrecciato al presente e alla visione di un futuro silenzioso, una specie di fossile. Indimenticabile.
COSA CONSIGLIEREBBE A CHI VUOLE INIZIARE A COLLEZIONE OPERE D’ARTE?
Per iniziare a collezionare consiglio di leggere libri, cataloghi, riviste, di visitare piattaforme dedicate agli artisti e siti web, di studiare e di immergersi nell’arte di tutti i tempi. Soprattutto, è importantissimo esercitare il proprio occhio. Vedere, vedere, vedere. Allenare lo sguardo significa anche visitare mostre, gallerie, fiere, Biennali, e dialogare con gli artisti, scoprire i loro studi, guardare il più possibile senza filtri e senza preconcetti. Il mio consiglio è di lasciarsi ispirare, incuriosire, entusiasmare e anche deludere, di seguire l’istinto. Personalmente, vivo la mia collezione come un racconto unico che scorre attraverso episodi, incontri, un filo rosso che unisce la biografia del collezionista a quella degli artisti, dei loro studi, delle loro città. Collezionare in questo senso è un po’ come esplorare, disegnando la propria mappa del mondo, costruendo una costellazione inedita.
QUANTO È IMPORTANTE L’EDUCAZIONE PER LA FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO?
L’educazione è un elemento centrale per la Fondazione. Uno dei nostri obiettivi è proprio avvicinare all’arte contemporanea un pubblico sempre più ampio. La presenza in mostra delle mediatrici e dei mediatori culturali rende possibile il dialogo con le opere e fa del nostro centro un luogo di confronto e di socialità anche per i visitatori. Il nostro Dipartimento Educativo progetta e realizza attività dedicate a scuole, giovani, adulti, insegnanti, famiglie, e persone con fragilità. Con l’Unione Italiana Ciechi, per esempio, da anni sperimentiamo l’utilizzo dei sensi e della narrazione nelle visite alle mostre con persone non vedenti o ipovedenti. Il dialogo con studenti, insegnanti e istituzioni territoriali ha portato negli anni alla creazione di numerosi percorsi sperimentali, nati da intense esperienze di co-progettazione. Le attività si sviluppano sia a scuola che in Fondazione: nello spazio attrezzato dell’aula didattica, e in mostra, a diretto contatto con le opere. Attraverso il Dipartimento, ci relazioniamo con pubblici molto diversi: iniziamo dagli asili nido, per proseguire con le scuole dell’infanzia, via via fino ai licei. Ogni anno accogliamo in Fondazione più di 30.000 bambini e studenti che entrano in relazione con le opere in mostra e con i nostri spazi. L’impegno della Fondazione è importante anche nel campo della formazione specialistica, in particolare con due progetti. Il primo, lo Young Curators Residency Programme, è nato nel 2006 e ha il duplice obbiettivo di sviluppare l’expertise curatoriale di giovani professionisti stranieri e promuovere la nostra arte contemporanea all’estero. Nel 2012 abbiamo avviato Campo, un corso specialistico post-laurea in studi e pratiche curatoriali, rivolto ad aspiranti curatrici e curatori italiani.
SI SENTE MECENATE?
Oggi la mecenate è colei che sa instaurare un dialogo profondo con le artiste e gli artisti, anche attraverso committenze che offrono loro l’opportunità di produrre nuove opere. Nel mio caso la committenza evolve spesso in un’esposizione o in un progetto offerto alla lettura del pubblico. Infatti, ho sempre pensato alla Fondazione come a un centro attivo di produzione: ideiamo programmi di sostegno alla giovane arte, progetti di residenza, premi, opportunità di esporre. La Fondazione ha fin dall’inizio cercato di sostenere le artiste e gli artisti giovani, nella consapevolezza che non è sempre facile per loro trovare occasioni di crescita e visibilità. Da quasi trent’anni, investire significa per me indirizzare risorse, studio e professionalità sul sostegno e la produzione delle opere delle giovani generazioni artistiche. Contestualmente, per la Fondazione, mecenatismo significa anche guardare con particolare attenzione ai suoi diversi pubblici, favorendo la più ampia accessibilità. Ad esempio, la mediazione culturale d’arte è per scelta totalmente gratuita.
Intervista a cura di Beatrice Bortoluzzi | Matteo Dall’Ava