Uno Studio su Paul Klee e Wassily Kandinsky
1925, Dessau, una città di circa 75.000 abitanti situata nella regione della Sassonia-Anhalt, nel centro nord-est della Germania a circa 120 chilometri da Berlino, lungo il fiume Mulde, affluente minore dell’Elba. Immaginate adesso di essere nelle aule della scuola Bauhaus, un luogo dove arte e pensiero progressista si incontrano tra linee, colori e suoni. Due maestri, Wassily Kandinsky e Paul Klee, che già si conoscevano dai tempi della scuola a Weimar, coltivano il sogno di un nuovo tipo di arte. Da questi luoghi, da questi geometrici spazi, riuscirono a trasformare il corso delle loro carriere artistiche e, più in generale, dell’arte moderna. Tuttavia, un’ombra minacciosa, sempre più oscura andava via via avvolgendo tutto. Nel suo calare, cominciava a far vacillare sogni, ambizioni e progetti. Il sindaco di Dessau, Fritz Hesse, consapevole delle crescenti pressioni anti-progressiste sulla scuola di Weimar e temendo una chiusura improvvisa e irrevocabile, si adoperò con decisione, insieme al direttore Walter Gropius, per trasferirla nella propria città. La sua abilità politica, la profonda conoscenza delle leggi acquisita attraverso gli studi in giurisprudenza e il suo tatticismo nell’affrontare improvvisi ostacoli, abilità possibilmente mutuata attraverso il fratello della moglie Lucie, tale Oswald Boelcke, pilota da caccia ed asso dei cieli nella Grande Guerra, gli furono riconosciuti nel mese di luglio, quando il “Kreis der Freunde des Bauhauses” (Circolo degli Amici del Bauhaus), per esprimergli la loro stima, con una breve cerimonia, gli consegnarono un portfolio come simbolo di gratitudine per il suo ruolo fondamentale nel garantire il trasferimento della scuola nella nuova sede. Le prime pagine contenevano un testo che rendeva omaggio al suo impegno: “Accogliendo il Bauhaus a Dessau, il signor sindaco Fritz Hesse ha generosamente dimostrato la sua volontà di sostenere i creatori intellettuali e artistici nel loro cammino verso il progresso culturale. Siamo uniti in un profondo sentimento di rispetto e sincera gratitudine per la coraggiosa realizzazione di un progetto di grande importanza e interesse per la vita culturale contemporanea.”

VASSILY KANDINSKY / Composition 6, 1913
ARTISTI / Wassily Kandinsky con la moglie Nina, George Muche, Paul Klee, Walter Gropius in un corridoio del Bauhaus di Dessau nel 1925
Il portfolio, ideato dall’artista e professore Moholy-Nagy, portava le firme oltre alla sua, di 8 eminenti maestri del Bauhaus: Josef Albers, Herbert Bayer, Marcel Breuer, Walter Gropius, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Georg Muche e Hinnerk Scheper. Vi erano inoltre altre prestigiose firme dei membri del Kuratorium (i fiduciari), un gruppo costituitosi nell’ottobre 1924 per sostenere e finanziare la scuola attraverso adesioni individuali e contribuiti privati, tra cui quella di Albert Einstein. Curiosità: Oswald Boelcke, era considerato il padre dell’aviazione militare tedesca e fu il primo a formalizzare le regole del combattimento aereo, il cosiddetto “Dogfight”. Fu anche maestro del ben più noto Manfred von Richthofen, meglio conosciuto come il Barone Rosso. 11 aprile 1933, la Gestapo fa irruzione nel Bauhaus di Berlino (N.d.R. la sede di Dessau era già stata chiusa l’anno prima) su ordine dell’ufficio della Procura, apparentemente alla ricerca di prove nel contesto di un’indagine contro F. Hesse, ormai ex sindaco. L’accusa? Sostenere l’arte degenerata, un termine usato dai nazisti per descrivere tutte quelle forme artistiche che consideravano corrotte, estranee o minacciose per la cultura ariana. Dopo la perquisizione, la scuola fu sigillata e l’accesso vietato. “De facto”, la scuola fu chiusa. Resa ormai incapace di riscuotere le tasse scolastiche dagli studenti, la situazione finanziaria andò così aggravandosi e diventò critica quando le autorità annullarono un accordo per pagare i salari del personale docente.
LA FINE NON ERA PIÙ VICINA. ERA ARRIVATA!
La sede di Dessau divenne così uno dei luoghi più iconici nella breve e travagliata storia del Bauhaus ma, per nostra fortuna, prima che l’oscurità si abbattesse su questo centro di innovazione e creatività, queste aule diedero vita a una vivace attività di sperimentazione e ricerca. Qui, tra linee, colori e musica, Kandinsky e Klee non si limitarono a coltivare la loro “Nuova Visione”, ma iniziarono le loro ricerche riguardo un fenomeno affascinante quanto complesso – la sinestesia. Ma cos’è la sinestesia? Durante il corso di “Teoria della Percezione – Psicologia della Forma” all’ Accademia di Belle Arti di Carrara, il Prof. Alessandro Romanini ci introduce a questo concetto, spiegandocelo con appassionata precisione accademica. La parola sinestesia ha origine dal greco antico, unendo (syn), che significa “insieme”, e (aisthēsis), che vuol dire “percezione” o “sensazione”. Da questa prospettiva etimologica, la sinestesia indica delle “percezioni unite” o “percezioni combinate”. Questa definizione cattura perfettamente la natura del fenomeno sinestetico, dove la stimolazione di un senso provoca una reazione in un altro, creando così un’esperienza sensoriale multipla e integrata. In altre parole, è come se i sensi si confondessero tra loro – dal punto di vista delle neuroscienze, la sinestesia è considerata una condizione neuropsicologica, in cui le connessioni tra le diverse aree del cervello, che normalmente sono indipendenti risultano più attive o strettamente interconnesse. Gli studi di neuroimaging, come quelli condotti attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI), hanno dimostrato che nei cervelli delle persone sinestetiche c’è un’attivazione simultanea di aree sensoriali multiple in risposta a stimoli che, nella maggior parte delle persone, attiverebbero solo un singolo senso. Ma la sinestesia non si limita a questo: “la sinestesia, oltre a costituire un fenomeno neurologico, si configura anche come una figura retorica ampiamente utilizzata nella letteratura e nelle arti per creare immagini vivide”.

PAUL KLEE / Distressed Castle Garden, 1931
CERCHIO CROMATICO / M. E. Chevreul, 1839
La sinestesia retorica è una figura stilistica che si sostanzia nell’associare due o più sensi diversi per descrivere un’esperienza in modo più ricco e profondo: una dolce melodia (gusto – udito), una luce fredda (vista – tatto), una voce vellutata (udito – tatto). Questo accostamento viene utilizzato per evocare immagini più intense e coinvolgenti, stimolando l’immaginazione. In sintesi, la sinestesia neurologica è una condizione dove gli stimoli di un senso automaticamente e soprattutto involontariamente attivano un altro senso, mentre la sinestesia retorica è una scelta consapevole dell’autore per arricchire la descrizione e per stimolare emozioni o creare atmosfere specifiche. Ora che abbiamo chiarito il concetto di sinestesia, chiedo al lettore di pazientare ancora per un poco, i continui salti temporali che a volte richiedono maggiore attenzione, ma sono fermamente convinto che la storia non sia semplicemente una sequenza lineare di cause ed effetti. Le nostre azioni, le nostre scelte, sono profondamente intrecciate con le vicende del passato – sono quel patrimonio comune che ci lega indissolubilmente a chi ci ha preceduto. Ricordando le parole di Frank Stokes, interpretato da George Clooney nel film Monuments Men (2014), quando cerca di persuadere il governo degli Stati Uniti a supportare la missione in Europa per proteggere le opere d’arte dalla devastazione della Seconda Guerra Mondiale: “Si può spazzare via una generazione di persone. Si possono radere al suolo le loro case e in qualche modo torneranno. Ma se distruggi (nel nostro caso dimentichi) le loro conquiste e la loro storia, è come se non fossero mai esistite. Solo cenere che galleggia.” Personalmente sono incline a credere che non solo la guerra mette in pericolo la nostra eredità culturale ma anche la mancanza di memoria è un rischio altrettanto grave. La storia e l’arte che ereditiamo, non sono meri ricordi del passato sono ciò che definisce la nostra identità e la nostra umanità. Ed è proprio attraverso la comprensione di questi legami che possiamo realmente apprezzare il contributo di artisti come Kandinsky e Klee. Ma torniamo alla storia e all’arte – per esplorare come questo fenomeno abbia trasformato il percorso artistico di questi due grandi maestri, bisogna considerare che, mossi da un insaziabile desiderio di innovazione, non si limitarono a sperimentare con forme e colori, ma si addentrarono nel territorio delle connessioni sensoriali. Questo comune interesse li portò a superare i confini tra vista e suono, tra colore e musica, svelando nuove possibilità espressive.
LE ORIGINI DELLA SINESTESIA E L’IMPATTO SULLA MUSICA E L’ARTE
Nel VI secolo a.C., il celebre filosofo e matematico greco Pitagora cercava di comprendere l’universo attraverso lo studio delle proporzioni matematiche e lo studio della musica; questo interesse, secondo alcune fonti, avrebbe avuto origine durante la sua giovinezza a Samo, quando, intorno al 570 a.C., suo padre lo inviò a prendere lezioni di cetra, uno strumento a corde simile alla lira, insieme a lezioni di pittura. È ragionevole supporre che questa formazione possa aver posto le basi per l’approccio di Pitagora alla musica come mezzo per indagare le leggi che regolano l’armonia universale. Un’antica leggenda tramandata nei secoli, citata nel Manuale di Armonica di Nicomaco da Gerasa (circa 100 d.C.), racconta un episodio in cui Pitagora, attraverso un’insolita osservazione, fu ispirato ad approfondire le proporzioni matematiche che regolano il suono e la musica. Nicomaco fu un matematico vissuto durante il regno degli imperatori Nerva e Traiano, riportò questa storia per spiegare come Pitagora formalizzò alcune leggi riguardo l’armonia musicale. Tuttavia, le testimonianze su questo fatto non finiscono qui. Circa un secolo dopo, e più precisamente nel III secolo d.C., il filosofo neoplatonico Giamblico di Calcide, vissuto tra il 245 e il 325 d.C., riprese lo stesso episodio nella sua opera “De vita Pythagorica”. Giamblico non solo ci conferma la narrazione originaria, ma la arricchisce con nuovi e particolari dettagli, rendono la vicenda ancora più interessante. Ecco perché, ancora oggi, questa storia continua a suscitare interesse. Secondo questo racconto, Pitagora, durante una delle sue passeggiate, si trovò a passare davanti a una fucina di fabbri e fu attratto dai suoni dei martelli che battevano sulle incudini. Notò che alcuni di questi suoni, a seconda della gravezza o acutezza con cui si alternavano, risultavano particolarmente consonanti, ossia piacevoli e armonici all’orecchio. Colpito da questa scoperta, entrò nella fucina e scoprì che la differenza di suono era causata dal peso dei martelli e non come si credeva dalla forza con cui le incudini venivano percosse o dalla forma degli strumenti. Questa scoperta gli permise di ipotizzare una certa teoria, dove la musica, così come l’armonia, sono governate da leggi matematiche. Sebbene il racconto abbia un carattere leggendario, esso ha il merito di farci vivere uno scorcio di antica scienza quasi come fosse una favola.

PAUL KLEE / Abstract Trio, 1931
PAUL KLEE’S QUINTET / 1900
Il prosieguo delle mie ricerche ci conduce a quasi mille anni dopo la morte di Pitagora, nel VI secolo d.C., quando il filosofo romano Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, attivo intorno al 480-524 d.C., riprese e sviluppò le teorie pitagoriche nel suo trattato “De Institutione Musica”. Sebbene Boezio non faccia un riferimento diretto alla leggenda dei martellatori, a lui va il merito di aver trasmesso con precisione le dottrine musicali pitagoriche, ponendo l’accento proprio sull’importanza delle proporzioni matematiche nell’armonia musicale. Boezio visse in un’epoca di grande transizione, segnata dalla fine del mondo classico, tradizionalmente collocata nel 476 con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, avvenuta dopo la deposizione dell’ultimo imperatore, Romolo Augusto, per mano del re germanico Odoacre. Questo evento segnò l’inizio del Medioevo. Boezio svolse un ruolo cruciale nella conservazione e trasmissione del sapere antico. Il suo trattato divenne un testo fondamentale per tutto il Medioevo, contribuendo a mantenere vive le idee pitagoriche. Non dobbiamo stupirci, se gli antichi Pitagorici, scoprendo la corrispondenza tra accordi musicali e rapporti matematici, furono tanto entusiasti da considerare queste proporzioni come una chiave di lettura per decifrare gli enigmi dell’universo. Il loro entusiasmo si tradusse in un’eredità intellettuale capace di influenzare la filosofia, la scienza e la musica per millenni, consolidando la potenza delle scoperte pitagoriche nel rivelare la struttura matematica del mondo. Un altro importante aspetto storico è conoscere il ruolo della Musica nel mondo antico, dove era prevalentemente associata a contesti pratici, rituali e religiosi, piuttosto che ad usi tecnico-scientifici. Con il passare del tempo, fu inserita nel quadrivium, accanto ad Aritmetica, Geometria e Astronomia, come disciplina che usa le proporzioni matematiche. Boezio, nel Medioevo, contribuì ad integrarla definitivamente tra le arti liberali. I pensatori medievali, infatti vedevano la musica non solo come un’arte, ma anche come riflesso dell’ordine cosmico e delle leggi matematiche che governano il mondo. Per dovizia di dettagli c’è da saper che oltre al quadrivium, esisteva anche il trivium, che costituiva il livello di base delle arti liberali. Esso comprendeva tre discipline fondamentali per lo sviluppo intellettuale: la Grammatica, lo studio della lingua e della corretta scrittura; la Retorica, l’arte di parlare e scrivere in modo persuasivo; e la Dialettica (o logica), che riguardava lo studio del pensiero e del ragionamento critico. Questo sistema mirava ad organizzare il modello educativo delle arti liberali (paragonabile alla nostra Istruzione secondaria superiore); il trivium e il quadrivium, formarono le basi dell’insegnamento per secoli, permettendo alla musica di passare dall’essere una scienza strettamente matematica a essere riconosciuta come arte, pur non discostandosi dal pensiero logico e razionale.
IL RISVEGLIO DEL COLORE E DEL SUONO NEL XIX SECOLO
Nel corso del XVIII e XIX secolo, l’idea di una possibile assonanza tra colori e suoni iniziò a diffondersi tra pensatori, artisti e scienziati. Johann Wolfgang von Goethe, con la sua Teoria dei colori pubblicata nel 1810, esplorò il potere delle tonalità cromatiche nell’evocare emozioni specifiche. Goethe non si limitò a una semplice spiegazione scientifica del colore, ma indagò anche le reazioni psicologiche che esso poteva provocare, influenzando così il modo in cui molti artisti dell’epoca utilizzavano il colore nelle loro opere. Parallelamente, il chimico francese Michel-Eugène Chevreul, con la sua teoria del Contrasto Simultaneo dei colori nel 1839, approfondì lo studio delle interazioni cromatiche. Chevreul dimostrò che la percezione di un colore è condizionata dai colori circostanti, portando gli artisti a un uso più consapevole e scientifico del colore, soprattutto nell’Impressionismo (si veda, 1886, ‘Un dimanche après-midi à l’Île de la Grande Jatte’ di Georges Seurat), contribuendo alla rivoluzione visiva del XIX secolo. Verso la fine del XIX secolo, con la nascita dell’arte moderna, la connessione tra musica e arti visive divenne ancora più stretta. Per chiudere il cerchio, è indubbio che Kandinsky, affascinato dalle teorie musicali, sviluppò un approccio radicalmente nuovo alla pittura intorno al 1910. Ispirato dalle opere di Richard Wagner, in particolare dal concetto di Gesamtkunstwerk o “opera d’arte totale”, Kandinsky iniziò a vedere la pittura come un’arte capace di esprimere l’invisibile, simile alla musica. Wagner, nelle sue opere, voleva unificare musica, poesia, teatro e arti visive in un’unica esperienza artistica ed estetica. Possiamo pertanto supporre che Kandinsky considerasse colori e forme come elementi capaci di evocare emozioni quanto le note di una sinfonia. Per lui, la pittura non doveva essere una semplice “messa in scena” del mondo visibile, ma piuttosto uno strumento per esprimere l’invisibile, in linea con il concetto di opera wagneriana, dove tutte le arti si fondono per creare un’esperienza estetica e spirituale. Un esempio perfettamente calzante del concetto di Gesamtkunstwerk è l’opera lirica “L’anello del Nibelungo” (Der Ring des Nibelungen). Un ciclo di quattro drammi musicali composto tra il 1848 e il 1874, dove il concetto d’unificazione di musica, poesia, teatro e arti visive è perfettamente rappresentato. Curiosità: W. per migliorare l’immersione del pubblico, tolse i musicisti dal palco e li collocò in una buca apposita (il “golfo mistico”), nascosta alla vista degli spettatori. Così facendo, la musica poteva avvolgere l’azione scenica senza distrarre il pubblico, permettendo un’immersione più completa tra musica, dramma e arti visive.

KANDISKY / Jaune Rouge Bleu
L’ARMONIA DEI COLORI E DELLE NOTE TRA KANDINSKY E KLEE
Esaminando l’incontro tra Kandinsky e Klee alla Bauhaus, sembra ragionevole supporre che i due maestri fossero come due facce della stessa medaglia che, separate, si ritrovano finalmente di fronte, con un linguaggio comune. Da un lato Kandinsky, che spesso descriveva i colori come note musicali, dall’altra parte Klee con l’idea che l’arte potesse comunicare all’anima come la musica. Klee, già esperto violinista, trovò nelle rappresentazioni sinestetiche di Kandinsky un terreno fertile per la sua arte. Da quanto finora emerso, appare evidente che l’influenza di Kandinsky su Klee segnò un intero movimento nell’arte moderna. Grazie a questa relazione, l’idea che l’arte potesse andare oltre la mera rappresentazione visiva, diventando un’esperienza multisensoriale capace di toccare l’anima e trasformare lo spettatore, divenne una delle forze trainanti ARTISTI / Wassily Kandinsky con la moglie Nina, George Muche, Paul Klee, Walter Gropius in un corridoio del Bauhaus di Dessau nel 1925 dell’avanguardia artistica del XX secolo. Secondo la loro visione, le opere non dovevano evocare solo colori e forme, ma anche suoni e ritmi, trasformando la tela in uno spazio dove musica e arte visiva si fondono in un’unica sinfonia che rappresenta il mondo – ogni pennellata è una nota, ogni colore una vibrazione, e ogni quadro è “un’opera d’arte totale”.
CONSIDERAZIONI PERSONALI
L’indagine sulle connessioni tra suoni, colori e percezioni ha attraversato i secoli, a partire dalle intuizioni di filosofi antichi come Pitagora e proseguendo attraverso le teorie di artisti e pensatori moderni. Tra i protagonisti di questa tradizione troviamo Kandinsky e Klee, che hanno saputo trasformare la sinestesia da fenomeno neurologico a strumento espressivo di straordinaria efficacia. Grazie alla loro capacità di oltrepassare i confini convenzionali dell’arte visiva, hanno aperto nuovi scenari per l’arte moderna, mostrandoci come l’unione dei sensi possa dare vita a esperienze estetiche di grande intensità. Le loro opere ci ricordano che l’arte non è soltanto uno specchio del mondo esteriore, ma anche un’espressione della complessità dell’animo umano. In un periodo come il nostro, in cui i confini tra le diverse discipline artistiche si fanno sempre più permeabili, l’eredità di Kandinsky e Klee è ancora incredibilmente rilevante. Attraverso le loro opere, hanno dimostrato che l’arte, in tutte le sue manifestazioni, è capace di toccare l’anima e svelare ciò che è invisibile ai sensi ordinari. In quest’epoca di continue trasformazioni, sovraccarica di nuove possibilità offerte dalla tecnologia e dai media digitali, il loro contributo ci sprona a esplorare nuove sinergie tra i sensi. L’arte, infatti, non dovrebbe essere vista solo come una rappresentazione del mondo, ma piuttosto come un mezzo per approfondirne la comprensione e il significato nel presente, tracciando un percorso che è allo stesso tempo scientifico e poetico. Dimostrano così che la vera arte risiede nella capacità di toccare l’anima attraverso l’intreccio armonico di forme, colori e suoni.
Articolo di Giacomo Castagnini