Come direbbe Tiziano Ferro (e anche un post su Instagram) FUNERAL è l’anagramma di REAL FUN!
Questo vuol dire che abbiamo sempre sbagliato il punto di vista?
Beh una cosa è certa, Taffo o meglio la sua agenzia di comunicazione KIRWEB, ha sicuramente adottato una nuova prospettiva. Non vogliamo incenerirvi con sermoni a proposito di come la comunicazione di Taffo abbia fatto decollare un comparto altrimenti irrigidito dalla formalità, trasformando il trapasso in un vero e proprio spettacolo pop. Di come hanno preso il macabro e lo hanno reso cool, sdrammatizzando – e, perché no, quasi normalizzando – l’inevitabile fine della vita.
E ancora, hanno scavato nel profondo per creare un’identità di brand solida come una pietra, rompendo le catene imposte dalla sensibilità convenzionale. Utilizzando i social media come un palcoscenico da applausi finali, si sono trasfigurati in un fenomeno virale, capace di suscitare interazioni e condivisioni che spuntano come fiori sul cimitero dei tabù. Insomma, hanno elevato l’arte della comunicazione a rito della provocazione, facendo riflettere, ridere e discutere con ogni post, manifesto o campagna. Partendo da temi di attualità e cronaca, Taffo li trasforma in una rappresentazione dell’addio finale, dimostrando che le parole e le immagini possono risorgere per ridefinire le percezioni collettive. Ma siccome non è questo che vogliamo dirvi non ve lo diciamo. La cosa su cui vogliamo focalizzare la nostra attenzione di cacciatori d’arte è l’influenza di questo cambio di prospettiva sulla collettività. Tutto questo black humor è stato in grado di insinuarsi nelle vene della comunità? Ora abbiamo un punto di vista nuovo sul tema “trapasso”? Se, riflettendoci, la risposta che ci sovviene è “sì” eccoci al cospetto dell’effetto pari a quello suscitato dalle correnti artistiche. E, prima che giri pagina mettendo una pietra sopra questo articolo, urge subito una parentesi che chiarisca almeno i termini che stiamo usando…

CARAVAGGIO / San Girolamo
BANSKY / Lanciatore di fiori
La parola “correnti” richiama immediatamente l’idea di un flusso dinamico e in continuo movimento. Come una corrente d’acqua che scorre, le tendenze artistiche si diffondono, si trasformano e si adattano nel tempo, travolgendo e influenzando diversi ambiti della società. Insinuare controversie e stimolare dibattiti (perché è chiaro che un cambio di prospettiva su certi tabù scalda gli animi) non fa altro che punzecchiare l’evoluzione culturale istigandola a muoversi. Se un’arte è tale quando riesce a generare un impatto emotivo e a cambiare la percezione della realtà, allora Taffo non ha semplicemente fatto comunicazione: ha creato una nuova corrente di pensiero. Un po’ come i dadaisti hanno ribaltato l’idea di arte, Taffo ha preso il concetto “conosciuto” di funerale e l’ha bellamente seppellito per sostituirlo con un argomento adatto alle più comuni conversazioni quotidiane. Ma l’operazione è ancora più sottile. La morte, che rimane l’unica certezza della vita, è sempre stata qualcosa da scongiurare, da scansare con lo sguardo, da lasciare in fondo al discorso abbassando il tono della voce, da trattare con il massimo del pudore. Taffo, con il suo linguaggio ironico e dissacrante, ha reso il tabù un fenomeno pop. Ha smontato il lutto come concetto astratto, lo ha rivestito di meme e doppi sensi, lo ha reso un argomento alla portata di tutti, spogliandolo della sua sacralità istituzionale e riportandolo nel territorio della quotidianità (mi vien da dire che è stata una mossa che ha ulteriormente allargato il target, no?).
È successo qualcosa di simile nell’arte? Assolutamente sì. Esistono numerosi esempi di opere intrise di black humor, che vanno ben oltre il semplice scherzo macabro e si trasformano in vere e proprie riflessioni sulla condizione umana. Già nel periodo barocco, ad esempio, troviamo la tradizione dei “vanitas” o nature morte, in cui la fugacità della vita viene rappresentata con toni ironici e simbolici: teschi, clessidre e fiori appassiti diventano potenti metafore della mortalità, quasi a voler ridicolizzare la vanità degli affanni terreni.
Ma senza riesumare ricordi troppo lontani, pensiamo a come la pop art ha trasformato il consumismo in icona culturale, a come gli street artist hanno portato l’arte fuori dai musei e nelle strade, a come Damien Hirst ha usato teschi tempestati di diamanti per rendere la morte qualcosa di spettacolare, quasi estetico. Oppure pensiamo a Maurizio Cattelan e alla sua capacità di farci ridere, inorridire e riflettere allo stesso tempo, proprio come fa la comunicazione di Taffo.
Ma se queste operazioni artistiche sono rimaste seppellite nelle gallerie e nei circuiti d’élite, Taffo ha portato questa nuova visione due metri sopra, direttamente tra la gente, nei social, nei cartelloni pubblicitari, dentro le conversazioni di tutti i giorni. Non è più solo una provocazione intellettuale: è un cambio culturale a tutti gli effetti. Per chi crede nel sacro fuoco della comunicazione e che sia una forma d’arte, questo è forse il miracolo più grande, ma ci verrà rivelato solo nel giorno del giudizio (e speriamo che non sia sabato). Forse la morte non è diventata più leggera, ma di certo è diventata meno muta. Ed è qui che si compie il vero capolavoro: la comunicazione che non informa soltanto, ma riscrive il modo in cui vediamo il mondo. Anche quello che sta… oltre.E adesso, dopo aver sviscerato tutto questo, la parola passa direttamente a chi l’ha reso possibile.
Abbiamo incontrato la squadra dietro le quinte della comunicazione di Taffo – ovvero Kirweb – e abbiamo posto qualche domanda a Riccardo Pirrone, Social Media Expert e CEO di kirweb, per capire come si costruisce (e si governa) un fenomeno di questo calibro. Eccovi la nostra intervista.
Se la vostra comunicazione fosse un’opera d’arte, sarebbe più un Caravaggio o un Banksy? In altre parole? Pensi di aver reinterpretato la realtà con tinte forti e drammatiche o di aver creato una street art della comunicazione funeraria che irrompe nel quotidiano con messaggi diretti e provocatori?
Boh, ma anche Caravaggio era provocatorio, no? Quindi non lo so, di base secondo me è una “social art”, quindi è una modalità per comunicare e non solo pubblicitaria, ma proprio per parlare di tematiche sociali, per discutere con le persone. È anche vero che nel tempo ci siamo dimenticati che Taffo è un brand, ma è diventato un opinion leader, quindi io credo che abbia qualcosa di tutti e due, ma con meno successo di tutti e due. Per ora, poi chissà.
KIRWEB / Post per Taffo
RICCARDO PIRRONE / Social Media Manager di Taffo
Quanto c’è di Memento Mori e quanto di puro business nella vostra strategia? Avete mai avuto il dubbio che sdrammatizzare la morte potesse in qualche modo banalizzarla? O magari era quello che volevate?
Ma non è più banale considerare la morte triste, brutta, come è stata sempre considerata? Penso che sia sicuramente più interessante ora che le persone ne possano discutere
liberamente piuttosto che prima che era considerata solo in un modo e diventava noiosa appunto perché sempre solo quella era. Adesso è diventata anche più multisfaccettata, quindi riesce ad entrare nei discorsi. Meglio dire “normalizzata” perché intendiamo inserita nel contesto socio-politico-economico-culturale del paese piuttosto che banalizzata no? Quindi sì, è sia business, sia cultura, sia pubblicità e soprattutto valori. Infatti Taffo porta avanti i valori di tante persone, non di tutte, che la pensano come noi, che la vivono come noi e che quindi ci perdonano il fatto che sia anche “pubblicità”. Di base la strategia che ha portato Taffo a essere un love brand non è basata sul prezzo, è basata soprattutto sulla comunicazione di valori. Quindi business sì ma non solo. Abbiamo fatto anche cose che non rientrano necessariamente nella logica di business e che di fatto ci hanno portato a una targettizzazione, come da un lato è giusto che sia essendo un servizio di largo consumo. Succede infatti che alcuni dei temi che affrontiamo, come l’eutanasia o l’omofobia, possono non essere condivisi da tutti. Chi ha una visione più progressista tende a sentirsi più vicino a noi, mentre chi ha un approccio più tradizionalista potrebbe non rispecchiarsi nei nostri messaggi. Capita anche che persone con idee differenti apprezzino comunque la nostra ironia perché al di là di tutto Taffo “è simpatico”. D’altra parte, la satira funziona così: tende a polarizzare le opinioni. Ad esempio, quando pubblichiamo post con frasi come ‘Meglio morti che fascisti’, è evidente che ci allontaniamo da una certa fetta di pubblico. Ma è una scelta consapevole, coerente con il nostro stile comunicativo. Al di là della pubblicità, però, la parte operativa è fondamentale: un’azienda non può basarsi solo sulla comunicazione, deve funzionare anche sul piano concreto.
L’ironia può essere un’arte? Taffo ha reso il black humor un linguaggio codificato riconoscibile. Quanto c’è di improvvisazione e quanto di studio dietro ogni vostra campagna?
Più che studio è strategia, una strategia che è iniziata in un modo, poi col tempo è cambiata in base a come cambiavano le persone, perché chiaramente non siamo gli stessi di quando abbiamo cominciato nel 2016, soprattutto io, che ero molto più coraggioso di oggi, perché avevo meno responsabilità di oggi, ero più giovane, ero inesperto su alcuni punti, avevo le spalle meno coperte, avevo tutta una serie di blocchi in meno. Allo stesso tempo oggi ho più esperienza, quindi so già cosa funziona e cosa no, quindi la strategia è continuare a soddisfare tutto quel pubblico che abbiamo costruito negli anni e che la pensa in un determinato modo e che quindi sai che determinati messaggi vanno a blindare ancora di più questo rapporto. Allo stesso tempo quando ti viene un’idea, oggi che siamo italiani e non più solo romani, non c’è niente di istintivo, devi essere veloce perché prima esci meglio è, ma non sempre. Prima devi far depositare la notizia, vedere se è interessante e poi dire la tua, cercando di non cambiare l’opinione su determinati temi in base a come le persone in questo momento la vivono, caso mai non fai il post se vedi che qualcosa non è in linea con quello che tu credi sia giusto. Di base Taffo funziona pure perché è molto plasmato su come la penso io, col tempo è diventata un po’ la mia estensione, è un po’ come un mio “sfogo” ma in modo comunque incastonato in una strategia valoriale che col tempo è stata costruita.
Non ho mai parlato di politica però in sé per sé, però di base, vuoi o non vuoi, sembriamo molto schieranti, quando io vedo che Michela Murgia fa il funerale con Taffo ho capito che siamo entrati in un mondo amico di una determinata parte di popolazione e anche di pensiero e ne sono contento.
KIRWEB / Post per Taffo
KIRWEB / Post per Taffo
Quale post o campagna vi ha dato più soddisfazione e perché? C’è stata una volta in cui avete pensato, ok, questa è davvero un’opera d’arte della comunicazione.
Di solito rispondo sempre: quella che verrà. Anche se poi mi stupisco che ancora alla gente piaccia. Temo sempre di fare la stessa cosa, cerco di innovarmi e diversificarmi. Poi, fortunatamente succedono cose diverse e quindi anche il post sembra diverso. Però sicuramente quello che è entrato nella storia e che è irripetibile all’estero è: “italiani vi aspettiamo alle urne!” perché la parola urne non è traducibile e quindi si può fare solo qua in Italia. Me la ricordo perché l’ho fatta di sabato, mi ricordo proprio il momento perché non potevo farla con i grafici, l’ho fatta io, quindi non gli avrei dato una lira e invece poi è uscita dappertutto ad esempio ne hanno parlato a Striscia la notizia, cioè è diventato proprio un caso.
C’è un limite alla provocazione? Avete mai avuto l’istinto di dire forse qui stiamo esagerando? Oppure credete che il segreto sia proprio nel non porsi limiti?
Non abbiamo limiti, solo confini. Nel senso che se ti metti dei limiti, poi effettivamente ti limiti. Quindi devi trovare la giusta via per dire quello che vuoi ma in modo politicamente corretto. Secondo me non deve essere un autocensurarsi, ma se sei capace trovi il modo di dire quello che vuoi in modo che non offenda nessuno e che ti piaccia.
Devi trovare una soluzione, soprattutto se il mondo cambia devi adattarti al mondo che cambia. Quindi chi più di noi che lavoriamo con la comunicazione, con i social soprattutto, con il web, con internet che cambia in continuazione e devi adattarti ai cambiamenti, altrimenti muori. E la comunicazione che facevamo prima non è più quella che facciamo oggi. Non è neanche giusto dire che è veloce, è giusta per il momento in cui siamo. Poi sarà meno studiata rispetto alle vecchie grandi campagne pubblicitarie della tv? Forse sì perché si fanno i video su tiktok in tre secondi, buttata là, sembra non studiata e ci sono meno investimenti in grandi campagne pubblicitarie. Ma non necessariamente l’amatorialità vuol dire prodotto scadente, vuol dire che è un altro modo di fruire il contenuto.
È la stessa storia della musica. Quella di oggi è brutta e quella di una volta era bella, non ha senso.
La comunicazione di Taffo è diventata “pop”, nel senso più ampio del termine. Vi sentite più vicini a Andy Warhol, che ha trasformato l’ordinario in icona, o a Damien Hirst, che ha reso la morte una provocazione artistica?
Non credo che il nostro impatto sia così grande da cambiare il mondo. Ha sicuramente cambiato la mia vita personale e professionale, ma per lasciare un segno indelebile servono opere di un’altra portata.”
A nessuno dei due. La nostra comunicazione è sicuramente diventata popolare, ma paragonarci a loro sarebbe esagerato… sono riferimenti troppo grandi. Sarebbe bello riuscire a fare quello che ha fatto Warhol, ma non ci consideriamo artisti in quel senso. Di sicuro, nel nostro piccolo, lasceremo una traccia: il fatto che la nostra strategia sia stata citata in diversi libri di marketing significa che qualcosa di rilevante lo abbiamo fatto. Non mi aspettavo che questo potesse cambiare pure la mia vita personale, professionale in tante cose, però non la vedo così impattante nel mondo. Abbiamo fatto piccole cose che, nel loro modo, hanno avuto un impatto, almeno per i becchini di tutta Italia (ride). Prima erano visti come figure un po’ “sfortunate”, portatrici di iella, mentre oggi almeno hanno una nuova veste. Mi piacerebbe riuscire a replicare questo approccio anche su altri fronti, soprattutto ora che ho l’opportunità di lavorare con brand nazionali. Però mi rendo conto di essere spesso incastrato in dinamiche aziendali molto più grandi di me. Fare la vera arte, quella di cui mi parlavi prima, è un’altra cosa: gli artisti hanno (o almeno sembra) la totale libertà di esprimersi, quando e come vogliono. Io no. Tra vincoli legali, regolamenti aziendali e lunghe approvazioni che passano dal marketing ai manager, prima di pubblicare qualcosa c’è un intero processo da seguire mentre con Taffo è uno stream of consciousness: io decido e pubblico senza che passi nemmeno dal cliente.
KIRWEB / Post per Taffo
Come reagiscono le famiglie dei vostri clienti? Avete mai avuto episodi di clienti che vi hanno scelto proprio grazie alla vostra comunicazione o qualcuno invece si è scandalizzato e ha preferito evitare o evitarvi?
Tutte e due! È successo che l’hanno scritto sul testamento. È successo che l’hanno deciso prima di morire e quindi venivano a fare i preventivi. È successo pure, che tante persone non ci hanno scelti perché siamo considerati irrispettosi, poco delicati, poco comprensivi nei confronti di alcune sensibilità. Quindi sì, effettivamente c’è chi ti sceglie e vuole proprio solo te e c’è chi non ti vorrà mai.
Qual è il futuro della comunicazione funeraria? Dopo aver rivoluzionato il settore, quale potrebbe essere il prossimo passo? Realtà aumentata, NFT, metaverso del trapasso?
L’intelligenza artificiale mi affascina in generale e secondo me potrà dare tutta una serie di sviluppi. Se ci pensiamo il funerale serve a far accettare un episodio doloroso e quindi mettere un punto a quella che è la sofferenza.Dopo il funerale c’è una sorta di presa di coscienza del domani in cui si ricomincia, (questo nella maggior parte dei casi). Con l’intelligenza artificiale hanno già fatto dei tentativi di aiuto a livello psicologico facendo parlare le persone con il caro estinto, simulando le modalità di comunicazione che avrebbe avuto, per dare supporto a chi rimane. Quindi sì, l’intelligenza artificiale è uno dei metodi che vedo più vicini al mondo funebre. Il resto mi sembrano cose troppo virtuali e poco concrete, non le vedo abbinabili alla concretezza di un funerale. L’unico modo per rendere un settore interessante è parlare di quello che interessa alle persone che non è “il settore”. Noi parliamo di tutte le notizie che non riguardano il settore funebre ma di quello che si discute di più sui social. Non siamo sempre ironici o cinici, di base siamo fondamentalmente buoni, nel senso che cerchiamo di dare un modo alle persone di andare avanti, di superare questi momenti o di superare il tema in sé per sé. Quando noi diciamo “Amatevi che la vita è un mozzico” e l’immagine rappresenta uno squalo che nuota dietro a una coppietta in mezzo al mare, di fatto mettendogli paura…noi gli stiamo dicendo una cosa positiva cioè che ti devi godere a pieno quello che stai vivendo.
Se dovessi organizzare il funerale perfetto per la comunicazione tradizionale come sarebbe?
Per la comunicazione tradizionale non c’è un punto fermo perché quella che faccio adesso diventerà tradizionale, a un certo punto ci sarà sempre qualcosa di nuovo, qualcuno che farà qualcosa di diverso e quindi è un funerale continuo. Vuoi un messaggio per il funerale della pubblicità tradizionale? Non c’è un punto fermo per la comunicazione tradizionale perché magari quella che fai adesso, domani diventerà tradizionale. Ci sarà sempre qualcosa di nuovo…è un funerale continuo. Se proprio ne vuoi uno potrebbe essere “Sono diventato banale anch’io e quindi sono morto”. Quando fai quello che fanno tutti poi muori, io cerco sempre di fare l’opposto di quello che fanno gli altri, forse è un po’ questa la cosa, non so se è una frase ad effetto, è più un pensiero mio, da qua potremmo sviluppare una gran bella conversazione. Anche a noi piace fare le cose diversamente dagli altri ed è per questo motivo che oggi ci siamo incontrati in questa intervista e ci è piaciuta un sacco!
Articolo di Cristina Calvia