Sta nascendo in Italia - ma con una forte vocazione internazionale - la Fondazione The Plot, che propone un approccio in parallelo tra neuroscienze comportamentali e arte contemporanea.
Argomento poco noto, lo studio delle neuroscienze comportamentali si occupa di analizzare i meccanismi di interazione tra cervello e ambiente, ossia il funzionamento delle principali funzioni cognitive ed emotive in relazione a determinati contesti e accadimenti. In particolare, l’approfondimento riguarda i meccanismi sottostanti alle paure e ai pregiudizi, e la loro relativa degenerazione in comportamenti quali odio, rabbia e discriminazione. Se da un lato, dunque, le neuroscienze possono aiutare a interpretare e comprendere questi meccanismi, l’arte contemporanea diviene strumento di divulgazione degli stessi. Ne parliamo con Giangiacomo Rocco di Torrepadula, ideatore del progetto e creatore della Fondazione.
|COME NASCE L’IDEA DI DEDICARSI ALLO STUDIO SULLE NEUROSCIENZE COMPORTAMENTALI?
“L’idea nasce da un’esigenza del tutto personale. Anni fa per lavoro vivevo a San Francisco. In quella città – così affascinante, ma al tempo stesso teatro di una paradossale rassegna di diversità sociale – mi resi conto di essere io portatore di pregiudizi, razziali e non solo. Ne restai molto turbato e iniziai a voler capire cosa potesse spingermi ad avere paure del tutto infondate. Lavorando allora nel campo della salute, fu per me naturale affrontare il problema dal punto di vista scientifico. Iniziai così questo viaggio nel mondo delle neuroscienze comportamentali. La mia intenzione era indagare le cause ultime di queste paure, per riuscire alla fine a liberarmene.”

TORINO SPAZIO MUSA / Interno
MILANO ASSAB ONE / Una sala interna espositiva
| COME È POSSIBILE SPIEGARE IN MODO RAZIONALE E SCIENTIFICO QUEI MECCANISMI CHE SONO SPESSO IDENTIFICATI COME IRRAZIONALI ED EMOZIONALI?
“Una delle cose sorprendenti è che nei nostri comportamenti siamo molto meno liberi di quanto pensiamo. Siamo continuamente influenzati da una serie di condizionamenti che dipendono in ultima analisi dalla somma delle nostre esperienze, dall’ambiente in cui siamo calati e con cui interagiamo ogni giorno. Il concetto è certamente noto, ma quello che le neuroscienze mostrano è come sia biologicamente spiegabile. Per parlare ad esempio di pregiudizio, questo è facilmente comprensibile se consideriamo che il nostro cervello è una macchina tremendamente energivora: pur rappresentando solo il 3% della nostra massa corporea, consuma più del 20% dei nostri fabbisogni. Per una macchina così “dispendiosa” è necessario ridurre il più possibile i carichi di lavoro ed un ottimo modo per farlo è di “catalogare” tutto quello che vediamo. Così che quando reincontriamo quella persona, quella cosa, o una persona o una cosa assimilabile a quella, non dobbiamo reimparare tutto daccapo, col risultato che il cervello lavora meno. E questo è un punto chiave: superare un pregiudizio significa imporre al nostro cervello un carico di lavoro (gli esperti direbbero un carico cognitivo), che è molto dispendioso. Occorre che il nostro cervello sia nelle condizioni di farlo, che abbia l’allenamento giusto per farlo. Un famosissimo studio condotto su dei giudici ha voluto analizzare quale fosse (e se ci fosse) un driver nella decisione di concedere o meno a dei carcerati la libertà condizionale. Sono state analizzate oltre 1100 decisioni e il driver è stato trovato: netto. I giudici tendevano a concedere la libertà molto di più se la richiesta veniva analizzata subito dopo i pasti! Il motivo: il pasto fornisce zuccheri al cervello che così ha molta più energia a disposizione per superare i propri pregiudizi. La lezione che ho imparato: mai intraprendere discussioni difficili se si è a stomaco vuoto… Conoscere questi meccanismi ci aiuta a capire i condizionamenti che il nostro cervello subisce e in ultima analisi ci aiuta ad essere più liberi e a fare scelte che possiamo fare più nostre.”
| COME PUÒ L’ARTE CONTEMPORANEA DIVENTARE UNO STRUMENTO DI DIVULGAZIONE E APPROFONDIMENTO?
“La divulgazione scientifica ovviamente serve. Eppure, nella mia esperienza l’arte ha il potere di emozionare, di entrare dentro al cuore delle persone. Questo è stato il mio pensiero: possiamo e dobbiamo divulgare questi concetti in modo tradizionale, ma se vogliamo davvero avere un impatto l’arte può essere un grimaldello potentissimo per arrivare molto più dentro alle emozioni e indurre una riflessione molto più articolata. Gli artisti che lavoreranno nella Fondazione avranno dunque il compito di studiare la divulgazione che stiamo realizzando, ma di tradurla nelle forme dell’arte, siano esse dipinti, sculture, fotografie, o anche musica, performance, cinema o qualunque forma sia idonea a trasferire in modo fortemente emozionale il messaggio scientifico.”
| TU AVEVI GIÀ AVVIATO UN PROGETTO UNICO NEL SUO GENERE, “A POSTCARD FOR FLOYD”. DA DOVE È NATO?
“Nacque dall’omicidio di George Floyd. Ho voluto rappresentare quell’assurdità attraverso nove scatti, uno per ciascun minuto di quella tragedia. Ho voluto però usare una immagine metaforica: quella di una candela che si spegne. Non volevo usare l’ennesima immagine della violenza (spessissimo si rappresenta l’inginocchiamento di cui Floyd è stato vittima) giacché ogni volta che si rappresenta la violenza nel nostro cervello si accendono i centri deputati alle paure e alle ansie, in ultima istanza possiamo dire che mostrare la violenza facilmente può indurre violenza. Invece, io volevo indurre una riflessione. E per rendere tale riflessione ancora più forte l’ho resa corale. Di una di quelle immagini ne ho tratto una cartolina, che ho poi spedito a diverse persone nel mondo dell’arte e della cultura (e non: il progetto è aperto a chiunque voglia partecipare), chiedendo di rimandarmela compilandola con qualunque cosa venisse loro in mente su quella tragedia. La scelta di un mezzo fisico è di nuovo intenzionale: la cartolina ti arriva a casa, ti occupa la scrivania, ti costringe a pensare e a fare qualcosa di fisico, la devi poi affrancare e spedire… è un impegno che amplifica significativamente la portata della riflessione in chi la riceve (come in tantissimi mi hanno testimoniato).”

CHRISTIAN MATTAROLLO /Cartolina personale
CARTOLINA / Simona Cozzupoli
| SEMPRE A PROPOSITO DI “A POSTCARD FOR FLOYD”, QUALE RISCONTRO E QUALI INSEGNAMENTI TI HA LASCIATO
“Il riscontro è stato sorprendente. Hanno risposto centinaia di persone: personaggi e creativi affermati, e gente comune. Sono tornate in risposta oltre 500 cartoline, compilate sul retro – e talora anche in modi più creativi – piene di sentimenti, riflessioni intime, disegni, collage con stralci di poesie e fotografie, persino QR code che rimandano a composizioni musicali e video. Tra i nomi noti che hanno partecipato i fotografi Oliviero Toscani, Maurizio Galimberti, Mario Cresci, Francesco Cito; gli attori Cristiana Capotondi, Giuseppe Cederna; i musicisti Max Casacci (Subsonica), Andy (Bluvertigo), Fabio Treves; i giornalisti Gad Lerner, Carlo Verdelli, Michele Buono; i curatori Denis Curti, Fortunato D’Amico, Roberto Mutti; gli artisti Michelangelo Pistoletto, Ercole Pignatelli, Max Marra, Yuval Avital; il rapper Amir Issa e il writer Flycat; gli architetti Giulio Cappellini, Italo Rota e Margherita Palli, Ilaria Marelli; il direttore d’orchestra del Teatro alla Scala Riccardo Chailly; lo scrittore Maurizio De Giovanni; gli illustratori Emilio Giannelli, Beppe Giacobbe, Sandro Fabbri e tanti altri ancora. La comunità nera ha partecipato attraverso contributi scritti che hanno lo scopo di riportare la riflessione su un livello di approfondimento (cosa che sarebbe stato riduttivo esprimere solo attraverso le cartoline). In particolare, hanno scritto autorevoli attivisti internazionali come Adama Sanneh (CEO Moleskine Foundation), Angelica Pesarini (University of Toronto), Luisa Wizzy Casagrande (Metissage Sangue Misto founder), la poetessa Rahama Nur. Ad oggi Postcard for Floyd è una mostra itinerante (già a Milano e a Torino), un libro edito da Skira con distribuzione internazionale ed un’occasione di formazione nelle scuole dove insegnare il tema del pregiudizio e di come combatterlo. Tutte queste persone mi hanno insegnato che – nonostante il problema sia presente – la voglia di superarlo c’è ed è molto forte. E questo non solo per un tema di altruismo ma anche perché, come ho detto prima, superarlo libera innanzitutto noi stessi.
| SO CHE IL PROGETTO DELLA FONDAZIONE È STATO ACCOLTO MOLTO POSITIVAMENTE DA PERSONAGGI DI SPICCO DELLA CULTURA SCIENTIFICA E DEL MONDO ARTISTICO. CHI NE FA PARTE?
“Sono davvero onorato di collaborare con le persone che da subito hanno accettato di far parte di questo progetto. In particolare, dalla comunità scientifica abbiamo due neuroscienziati: il prof. Salvatore Maria Aglioti, ordinario di psicobiologia e psicologia fisiologica presso la Sapienza di Roma, con una notevole esperienza nelle neuroscienze sociali, il prof. Luca Colucci d’Amato, associato di patologia generale e docente di cellular e molecular biology neurobiology and neuropathology presso l’università Vanvitelli di Napoli. A loro si aggiunge poi l’ing. Alice Ravizza, con una forte specializzazione in bioingegneria e bioetica e una competenza ampia nell’ambito della formazione. Dalla comunità artistica abbiamo anche tre bellissimi nomi. Nicolas Ballario, curatore, critico e grandissimo divulgatore di arte contemporanea con diverse trasmissioni all’attivo tra cui “Te la do io l’arte” (radiouno) e “The Square” (Sky Arte). Abbiamo poi Chiara Ferella Falda, producer, curatrice ed esperta di comunicazione, nonché General Manager della galleria MyOwnGallery di Superstudio, responsabile del FLA FlavioLucchiniArt Museum e ambasciatrice del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. E ancora Pier Paolo Pitacco, rinomato e pluripremiato Art Director, protagonista degli eventi editoriali più importanti legati al successo dello stile italiano, dove ha avuto la direzione artistica di riviste quali Uomo Vogue, Elle Italia, Io Donna, Rolling Stone solo per citarne alcune, ad oggi consulente di immagine con il suo studio “Cento per Cento”.

CARTOLINA / Flycat
AMIR ISSAA / Cartolina personale
| PERCHÉ C’È BISOGNO DI QUESTA FONDAZIONE? DA DOVE NASCE L’URGENZA DI UNA COSA DI QUESTO TIPO?
“Viviamo un mondo sempre più polarizzato che continuamente ci propone ipersemplificazioni della realtà, creando così stereotipi e pregiudizi, spesso facendo leva sulle nostre paure più ancestrali. Non a caso, giacchè il nostro cervello ha una naturale attenzione (evoluzionisticamente necessaria) per queste paure. Ci schieriamo sempre di più da una parte all’altra, creando fazioni su ogni tipo di cosa. Penso ad alcuni dei grandi temi in corso: è difficile parlare dei conflitti attuali senza essere accusati di essere filo-russi o filo-ucraini (o filo-palestinesi o filo-ebraici, solo per citare i più noti). È impossibile affrontare la questione immigrazione senza essere immediatamente coinvolti in una conversazione che diventa solo ideologica, senza alcun approfondimento reale di come gestire quella che è una emergenza vera. Per i migranti, innanzitutto, ma per noi tutti. Come sarebbe ovvio ove la riflessione si spostasse almeno un minimo dall’ideologia all’empatia. Senza ignorare le ragioni di nessuno. E non penso solo ai grandi temi, ma ormai a qualunque cosa. Alle scorse olimpiadi la pugile turca è diventata un caso globale, rimbalzato sui social con una viralità (al pari di una dimostrata ignoranza) che non esito a definire brutale. E cito solo il primo esempio che mi viene in mente. I social amplificano tutto questo avendo nei meccanismi del nostro cervello (che ama le verità semplici e veloci, giacché ci fanno lavorare meno) un complice formidabile. E le stesse fake news non sono che l’ovvia risultante di questi fenomeni, per cui (ad esempio) ci viene facile vedere complotti e trame oscure dovunque. Tutto questo si può e si deve cambiare. Certamente ad un livello sociale e politico, dove possono essere prese una serie di iniziative, ma non credo che succederà tanto presto. Credo invece che ciascuno di noi, ad un livello individuale può fare molto. Apprendendo i meccanismi con cui il nostro cervello elabora le proprie paure e i propri pregiudizi, ci si può allenare a combatterli, evitando così di cadere in queste continue trappole, alla fine diventando – non mi stancherò mai di ripeterlo – più liberi nelle proprie valutazioni e nelle proprie scelte. È a questa esigenza che con la Fondazione vogliamo provare ad offrire una risposta. Dal nostro punto di vista il bisogno c’è ed è urgente, ed il momento rende addirittura necessario provarci. Forse l’arte ci riuscirà ad avvicinarci un poco l’un l’altro? Noi siamo convinti che può farcela.”.
| QUALI SONO I PROSSIMI PASSI CONCRETI DELLA FONDAZIONE?
“Stiamo attivamente lavorando al fundraising e alla realizzazione del primo evento. La Fondazione, infatti, si ripropone di lavorare attraverso un evento biennale: un grande happening aperto a tutti, con moltissime iniziative sorprendenti e accattivanti, sia in ambito divulgativo (ad esempio talk e pubblicazioni), sia in ambito artistico. Una grande festa che stiamo già iniziando a progettare e di cui stiamo già generando i contenuti. Ad esempio, a Torino abbiamo appena stimolato una riflessione sulle basi neurali del pregiudizio e di come superarlo attraverso l’empatia all’interno del distretto scolastico Antonelli Casalegno e della Scuola Internazionale Comics, sempre utilizzando l’arte come modo di esprimere il risultato di questo percorso. Stiamo avviando iniziative analoghe anche in altre città”.
| L’ARTE HA MOLTE SIMILITUDINI CON LE NEUROSCIENZE. IN PARTE È GOVERNATA DA UN ASPETTO IRRAZIONALE, IN PARTE HA BISOGNO DI UNA FASE PIÙ CONCRETA. IL RUOLO DELL’ARTISTA NELL’AMBITO DEGLI STUDI SARÀ SOLO DI DIVULGAZIONE O POTRÀ AVERE PARTE ATTIVA NEGLI ASPETTI DI APPROFONDIMENTO?
“Sulla similitudine tra arte e neuroscienza invito tutti a leggere il libro di Eric R. Kandel intitolato appunto “Arte e neuroscienze”. Detto questo, nulla è escluso. Anzi: è possibile che artisti contribuiranno finanche alla ricerca. Ma su questo non voglio disvelare tutto subito… come si suol dire: restate sintonizzati!”.
Articolo di Federico Rui